Emissioni odorose


In tema di emissioni idonee a creare molestie alle persone, bisogna rilevare che l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 674, seconda parte, c.p. afferma che esse possono certamente ricondursi ad una delle tre tipologie indicate dalla norma incriminatrice (gas, vapori, fumo). Parimenti, è stata ritenuta la loro capacità offensiva in considerazione della indubbia idoneità di tali emissioni ad arrecare molestia alle persone, dovendosi far rientrare nel concetto di “molestia” tutte quelle situazioni di fastidio, disagio, disturbo e comunque di “turbamento della tranquillità e della quiete”, che producono “un impatto negativo, anche psichico, sull’esercizio delle normali attività quotidiane di lavoro e di relazione”.
In tale prospettiva, è stato affermato che può costituire “molestia” anche il semplice arrecare alle persone preoccupazione ed allarmi generalizzati circa possibili danni alla loro salute provocati dalle esalazioni stesse (cfr., ex multis, Cass. Sez. 3, 1/12/2005 n. 3678, Giusti; Sez. 3, 12/5/2003 n. 20755, Di Grado ed altri; Sez. 3, 9/10/2007 n. 2475, Alghisi ed altro).
Deve, a tale riguardo, ribadirsi che la contravvenzione di cui all’art. 674 c.p. costituisce reato di pericolo, per cui non è necessario che sia determinato un effettivo nocumento alle persone, essendo sufficiente l’attitudine concreta delle emissioni ad offenderle o molestarle nel senso sopra precisato, purché, ovviamente, le emissioni di esalazioni maleodoranti non presentino un carattere del tutto momentaneo ed abbiano un sicuro impatto negativo (cfr. Cass. Sez. 3, 21/3/1998 n. 3531, Terrile; Sez. 3, 14/1/2000 n. 407, Samengo).
Nei rari casi in cui non esistano precisi limiti tabellari fissati dalla legge, ovvero in tutti i casi in cui non esiste una predeterminazione normativa, è affidata al giudice penale, che può basarsi anche su dichiarazioni testimoniali, purché non risolventisi in apprezzamenti meramente soggettivi, la valutazione della tollerabilità consentita, alla stregua delle conseguenze che le emissioni producono sull’esercizio delle normali attività quotidiane di lavoro e di relazione.
Tale valutazione deve operarsi secondo criteri di “stretta tollerabilità” (cfr. , in tal senso, Cass. Sez. 3, 5/6/2007 n. 21814, Pierangeli; Sez. 3, 10/10/2006 n. 33971, Bortolato), “dovendo ritenersi riduttivo ed inadeguato il riferimento alla normale tollerabilità fissato dall’art. 844 c.c., che appare inidoneo ad approntare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana, attesa la sua portata individualistica e non collettiva” (cfr. Cass. Sez. 3, sentenza Alghisi citata).
In quest’ottica devono essere, pertanto, riguardate le c.d. “molestie olfattive”, dal momento che non esiste una normativa statale che preveda disposizioni specifiche e valori – limite in materia di odori, materia sicuramente diversa da quella concernente l’inquinamento atmosferico.
L’assenza di una normativa di settore e di standards fissati dalla legge non può, tuttavia, condurre alla conclusione ritenere un vuoto normativo laddove non esistano precisi limiti tabellari fissati dalla legge.
In tali ipotesi, infatti, deve trovare applicazione l‘art. 674 c.p., con individuazione del parametro di legalità nel criterio della “stretta tollerabilità”.

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