Discorso di fiducia alla Camera - Il destino delle Province e dei provinciali
11 dicembre 2013
Dal suo discorso di stamani, sembra che il Presidente Letta, chiedendo per il suo governo la fiducia al Parlamento, abbia buttato a mare la riforma Del Rio, scegliendo la riforma Costituzionale.
....omissis...Per questo propongo che si lavori sulla procedura dell’attuale articolo 138 della Costituzione e che ci si concentri su quattro obiettivi di cambiamento.
Il primo: la riduzione del numero dei parlamentari, priorità largamente condivisa in questo Parlamento e che necessita di un intervento di cambiamento della Carta costituzionale.
Il secondo: l’abolizione delle province dalla Costituzione. Il disegno di legge in materia l’abbiamo depositato nei mesi scorsi. Si aspettava l’approvazione definitiva del disegno di legge costituzionale che istituiva procedure ad hoc per le riforme costituzionali; quella oggi è impossibile, quindi è bene oggi procedere subito sul disegno di legge costituzionale già presentato sull’abolizione delle province.
Il terzo: la fine del bicameralismo perfetto, con un’unica Camera che dia la fiducia e faccia le leggi e l’altra che esprima più compiutamente il disegno di raccordo con le autonomie, già presente nella Carta costituzionale.
Il quarto: una riforma del Titolo V della Costituzione che metta ordine nel rapporto tra centro e poteri decentrati, migliori il ruolo delle specialità e chiarisca le responsabilità di ciascun livello di governo, limitando al massimo quelle concorrenti in favore della competenza esclusiva dello Stato oppure delle regioni.
..omissis
Dal suo discorso di stamani, sembra che il Presidente Letta, chiedendo per il suo governo la fiducia al Parlamento, abbia buttato a mare la riforma Del Rio, scegliendo la riforma Costituzionale.
Governo, voto di fiducia: il discorso completo di Letta alla
Camera
Quotidiano giuridico politico economico
Diretto da Avv. Carmelo Giurdanella
Il discorso di Enrico Letta alla Camera dove ha richiesto il
voto di fiducia al suo governo, nella data 11 dicembre 2013.
Signora Presidente, onorevoli colleghi, sono qui oggi per
chiedere il voto di fiducia per un nuovo inizio, con obiettivi realizzabili e
tempi certi, soprattutto con la determinazione a lottare con tutto me stesso
per evitare di rigettare nel caos il Paese proprio nel momento in cui esso è in
grado di rialzarsi.
È vero, l’Italia è oggi una società fragile e stordita dalla
crisi, è però nello stesso tempo una società pronta, dopo tanti sacrifici, a
ripartire. È nostro compito, anzi è nostro obbligo, anche generazionale,
guidarla in questa ricostruzione.
Essere qui per me è un privilegio e un dovere insieme,
perché questo è il Parlamento della Repubblica, perché le istituzioni esigono
rispetto, lo esigono sempre e lo esigono a maggior ragione in un tempo così
amaro, nel quale sempre più spesso si tenta di immiserire quest’Aula con parole
e azioni illegittime. Sono parole e azioni figlie di una cultura politica che
mette all’indice i giornalisti, avalla la violenza, vuole fare macerie degli
edifici stessi della democrazia rappresentativa , arriva a incitare
all’insubordinazione le forze dell’ordine, forze dell’ordine che invece io qui
voglio ringraziare davanti a voi e al Paese, per la fedeltà indiscutibile ai
valori repubblicani che dimostrano ogni giorno.
Onorevoli colleghi, il 2 ottobre, a dispetto del voto
finale, mi sono rivolto direttamente a una nuova maggioranza politica a
sostegno dell’Esecutivo che presiedo: una maggioranza meno larga nei numeri,
più coesa negli intenti; una maggioranza che ha dimostrato di essere tale con
il voto di fiducia al Senato sulla legge di stabilità. Oggi, ciò che vi chiedo
è di confermare quella fiducia, per segnare anche formalmente una
discontinuità, per distinguere per bene tra un prima e un dopo.
Il prima lo conoscete, lo conosciamo. Rivendico la
positività dell’esperienza di questi mesi e l’impegno a lavorare con dedizione,
nonostante le intimidazioni quotidiane, gli aut aut, le minacce dalle quali ho
scelto di tenere, per quanto possibile, in questi mesi, il Governo al riparo.
Lo rivendico perché ho sempre considerato questa esperienza
come il passaggio da una situazione di contrapposizione tossica tra nemici a un
sistema di competizione sana tra avversari; un passaggio obbligato dall’esito
del voto di febbraio, ma, soprattutto, dalla necessità di archiviare un
ventennio sprecato. Fatta eccezione per alcune importanti realizzazioni –
l’ingresso nell’euro, naturalmente, è tra queste –, sono state infatti troppe
le occasioni mancate: sprecata l’opportunità di riformare la politica, le
istituzioni; sprecata la chance di invertire il declino dell’economia italiana
prima che la crisi intervenisse, come un uragano, a sconvolgere la vita dei
cittadini, delle famiglie e delle imprese.
Il nostro alibi è stato il conflitto, apparentemente
insanabile, tra due Italie, ma il costo di questo alibi si è rivelato altissimo
per tutti gli italiani, condannando le istituzioni all’impotenza.
Delle responsabilità di questo fallimento ho parlato nel
discorso di aprile: nessuno può dirsi assolto, perché non si è riusciti, da una
parte e dall’altra, a resistere alla tentazione di qualificarsi sempre e solo
per contrasto; perché alla ricerca paziente e faticosa delle soluzioni utili
all’Italia si sono preferite scorciatoie, slogan, il consenso qui e adesso.
Il Governo che presiedo è nato dall’impegno della
maggioranza parlamentare a superare questi vizi e a distinguere temporaneamente
le politiche dalla politica. Malgrado le differenze e le diffidenze reciproche,
le infinite ferite del passato, penso che in molti abbiano vissuto con genuina
convinzione questo impegno.
La scorsa estate, alla missione stessa di servizio al Paese,
si è tentato – ed è questo alla fine il motivo per cui sono qui – di anteporre
una questione sola, tanto da utilizzarla come condizione ultimativa rispetto
alla vita dell’Esecutivo. Nella vicenda giudiziaria di Silvio Berlusconi non
sono entrato in questi mesi e non entro oggi.
Accettando l’incarico dalle mani del Capo dello Stato,
Giorgio Napolitano cui va ogni giorno, oltre che la mia gratitudine personale,
il ringraziamento per il sacrificio con cui adempie, in condizioni
difficilissime, all’incarico cui questo Parlamento l’ha impegnato per la
seconda volta a larghissima maggioranza, avevo però detto che il mio non sarebbe
stato un Governo a tutti i costi.
Non è stato un Governo a tutti i costi. Avevo detto che il
rispetto per la separazione tra i poteri dello Stato e per la loro piena
autonomia era un limite da non oltrepassare: quel limite non è stato
oltrepassato. Tutto ciò l’ho deciso anche prendendomi il rischio di andare a
casa ed è per questo che oggi sento più forza, sento che dobbiamo usarla, sento
che dobbiamo usarla al meglio.
Dunque, a dispetto di chi dice che non cambia mai niente, la
trasformazione politica determinatasi in questi sette mesi è di gran lunga la
più radicale di tutta la Seconda Repubblica. C’è stato un prima, ci sarà un
dopo e il dopo è una storia nuova da scrivere; può e deve farlo una leadership
politica ringiovanita di alcuni decenni in soli pochi mesi, legittimata grazie
a coraggio e partecipazione, da una parte all’altra di quest’Aula. Può e deve
farlo il Parlamento, pena la condanna all’ingovernabilità perenne, alla
paralisi, al caos simile o addirittura peggiore di quello vissuto nei due mesi
di limbo che hanno separato il voto di febbraio dalla rielezione del Presidente
della Repubblica.
Per esentare questo rischio vi chiedo di impegnarci insieme.
Molti degli obiettivi a cui farò riferimento oggi sono in effetti il frutto di
una base di consenso comune maturata a partire dalla fiducia iniziale e dalle
successive evoluzioni. Li porteremo quindi avanti speditamente. Oggi però la
coalizione è diversa, è più unita. Ci sono, dunque, le condizioni per definire
nelle prossime settimane un patto di Governo tra chi sceglie di concederci la
fiducia, un patto che chiamerò da adesso in poi «impegno 2014».
Questa discussione all’interno della maggioranza servirà per
declinare in modo più definito i punti sui quali oggi vi chiedo la fiducia. Ma,
per essere chiari, il nuovo inizio è oggi. Gli approfondimenti che faremo nella
maggioranza non saranno occasioni per rimettere in discussione i punti
cardinali del lavoro per il 2014, che sono nel discorso sul quale vi sto
chiedendo, in questo momento, la fiducia.
L’impegno è quello che assumiamo con l’Italia, prima che tra
di noi: comporta un’articolazione più collegiale tra i nuovi gruppi
parlamentari della maggioranza; comporta affidamento, fiducia reciproca;
comporta rispetto e linearità.
Nei mesi scorsi non c’erano le condizioni per dare seguito
ad una proposta di tenore simile che mi aveva rivolto il senatore Monti: ne
dovetti prendere atto. Oggi queste condizioni ci sono e aiutano senz’altro le
sollecitazioni, che mi paiono peraltro componibili, espresse dai nuovi leader
del Partito Democratico, del Nuovo Centrodestra e dai nuovi gruppi parlamentari
Per l’Italia, oltre che ovviamente da Scelta Civica.
Onorevoli colleghi, il grande obiettivo, entro il quadro
temporale dei diciotto mesi, è avere istituzioni che funzionino e una
democrazia più forte e più solida. In questo, le riforme istituzionali occupano
il primo posto, non solo perché proprio senza istituzioni credibili ed efficaci
è immiserita ogni azione di Governo, ma perché la sentenza della Consulta, che
ci ha liberato della peggior legge elettorale d’Europa, impone di trovare
soluzioni al più presto.
L’urgenza e il nuovo quadro politico ci inducono al
realismo: la scelta di Forza Italia di non garantire il sostegno al percorso
rafforzato di riforma costituzionale, che era giunto proprio alla soglia
dell’ultimo passaggio parlamentare, obbliga a un’onesta presa d’’atto della
necessità di cambiare percorso per evitare una dilazione dei tempi che sarebbe
un errore capitale. Dobbiamo quindi arrivare al risultato e rapidamente. Per
questo propongo che si lavori sulla procedura dell’attuale articolo 138 della
Costituzione e che ci si concentri su quattro obiettivi di cambiamento.
Il primo: la riduzione del numero dei parlamentari, priorità
largamente condivisa in questo Parlamento e che necessita di un intervento di
cambiamento della Carta costituzionale.
Il secondo: l’abolizione delle province dalla Costituzione.
Il disegno di legge in materia l’abbiamo depositato nei mesi scorsi. Si aspettava
l’approvazione definitiva del disegno di legge costituzionale che istituiva
procedure ad hoc per le riforme costituzionali; quella oggi è impossibile,
quindi è bene oggi procedere subito sul disegno di legge costituzionale già
presentato sull’abolizione delle province.
Il terzo: la fine del bicameralismo perfetto, con un’unica
Camera che dia la fiducia e faccia le leggi e l’altra che esprima più
compiutamente il disegno di raccordo con le autonomie, già presente nella Carta
costituzionale.
Il quarto: una riforma del Titolo V della Costituzione che
metta ordine nel rapporto tra centro e poteri decentrati, migliori il ruolo
delle specialità e chiarisca le responsabilità di ciascun livello di governo,
limitando al massimo quelle concorrenti in favore della competenza esclusiva
dello Stato oppure delle regioni.
A partire da una discussione nella maggioranza, aperta poi a
tutte le forze politiche, si dovranno rapidamente definire disegni di legge
costituzionale per raggiungere questi obiettivi. Sarà utilissimo, in questo, il
lavoro del Comitato dei saggi, che ringrazio tutti per la dedizione e la
qualità delle proposte presentate al Governo. Da lì partiremo per la
riflessione dei prossimi giorni su questi quattro punti.
Chi proverà a far saltare il banco ne risponderà di fronte
ai cittadini, cittadini che con un referendum saranno comunque chiamati a
decidere se confermare o meno una riforma che consentirà alle nostre
istituzioni di funzionare meglio e all’Italia di scrollarsi di dosso l’immagine
del Paese barocco, instabile, che non riesce mai a decidere.
Vengo adesso alla legge elettorale. Mi concentro su due
aspetti. Primo: essa deve evitare un eccesso di frazionamento della
rappresentanza, che ci condannerebbe all’ingovernabilità. Come ha ammonito il Presidente
Napolitano, la democrazia dell’alternanza è un obiettivo irrinunciabile e ci
impone di orientarci verso meccanismi maggioritari.
Il secondo: finalmente sono state cancellate le liste
bloccate, negazione di ogni criterio di merito e rappresentanza, inno alla
cooptazione. È fondamentale ora facilitare le scelte dei cittadini e creare un
legame, il più diretto possibile, tra elettori e il loro eletto.
Nessuno, noi per primi, pensi ad una legge elettorale
punitiva nei confronti di altri. Il Governo, la maggioranza, innanzitutto, e il
Parlamento tutto lavorino nelle prossime settimane per dare pronta attuazione
al pronunciamento della Consulta e restituire ai cittadini lo scettro, vale a
dire il diritto di scegliere chi li rappresenta e chi li governa.
Anche sull’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti
dobbiamo arrivare alla parola «fine», esattamente come è avvenuto da subito con
l’eliminazione del doppio stipendio dei parlamentari che erano anche membri del
Governo, come il sottoscritto. L’avevo promesso nel discorso di nascita
dell’Esecutivo e l’abbiamo fatto il giorno dopo.
Sull’abolizione del finanziamento pubblico ho ripetuto più
volte che, con la collaborazione tra Governo e Parlamento, si sarebbe potuto
chiudere entro l’anno una questione il cui infinito trascinarsi fa giustamente
infuriare l’opinione pubblica in modo assolutamente trasversale. Il Governo ha
approvato la proposta, poi migliorata e licenziata da questa Camera, tuttavia
troppi sono i mesi passati dal varo in Consiglio dei ministri. Per questo
confermo qui la mia volontà a completare, definitivamente e con tutti gli
strumenti a disposizione, la vicenda entro l’anno.
Onorevoli colleghi, ad aprile, davanti a voi e al Paese, mi
sono impegnato per un programma di riforme economiche. Non cerco attenuanti e
non nego che la minaccia continua di instabilità abbia contribuito a indebolire
l’azione del Governo. Tuttavia resto convinto della bontà della nostra
impostazione. Abbiamo messo in cantiere interventi importanti, ma soprattutto
abbiamo privilegiato una politica economica basata sul rispetto degli impegni,
da un lato, e sulla creazione di condizioni in grado di supportare la ripresa,
dall’altro. La caduta del PIL si è arrestata, come dimostra il dato di ieri sul
terzo trimestre dell’anno, il primo, dopo oltre due anni, senza un segno
negativo. Il Paese oggi può ripartire, naturalmente però dobbiamo attuare le
misure già approvate e varare subito le riforme indispensabili per rendere
strutturale il recupero di competitività.
Confermando, quindi, questa impostazione, cinque sono i
punti che devono essere, a mio avviso, alla base del nostro impegno per il
2014. Dobbiamo innanzitutto continuare a far scendere contemporaneamente il
debito, il deficit, le spese di parte corrente e le tasse su famiglie e su
imprese, piccole e grandi.
Secondo: dobbiamo raggiungere l’anno prossimo la crescita
dell’ordine di grandezza dell’1 per cento e arrivare alla crescita del 2 per
cento nel 2015, una crescita che sia strutturale e che si accompagni a
un’aggressione efficace alla disoccupazione, a partire da quella giovanile.
Terzo: dobbiamo rilanciare gli investimenti pubblici,
spendendo le risorse stanziate, usando al meglio i fondi strutturali europei ed
eliminando i colli di bottiglia nell’attuazione delle decisioni prese su
infrastrutture e opere, grandi e piccole.
Quarto: dobbiamo aggiornare le nostre politiche di
competitività industriale a sostegno di imprese, in particolare piccole e
medie, affinché siano sempre più innovative, digitalizzate e
internazionalizzate.
Quinto: dobbiamo creare un clima più favorevole agli
investimenti attraverso il piano «Destinazione Italia», con le
sburocratizzazioni, l’apertura dei mercati, le semplificazioni, in particolare
dei codici del lavoro e di quello fiscale, e le riforme della giustizia civile.
Il 2014 – dicevo – sarà il primo anno con il segno più dopo
il buio della crisi. È un risultato non scontato. Pur con molte difficoltà,
possiamo incassare il dividendo della stabilità, senza il quale avremmo avuto
certamente un innalzamento dei tassi di interesse, che a loro volta avrebbero
strangolato la crescita.
Siamo l’unico grande Paese d’Europa, con la Germania, sotto
il 3 per cento di deficit; il surplus primario – cioè la spesa al netto degli
interessi – è oggi al 2,5 per cento; siamo, quindi, sempre assieme alla
Germania, i più virtuosi tra i grandi Paesi d’Europa.
È vero, abbiamo il debito pubblico che è colossale. Lo
stiamo aggredendo, lo dobbiamo aggredire, inizierà a scendere nel 2014, dopo
cinque anni di crescita ininterrotta. È importante perché ce lo chiede
l’Europa ? È importante e fondamentale perché un debito pubblico così alto in
rapporto al PIL ci costa troppo: quest’anno spenderemo quasi 90 miliardi di
euro in interessi. Novanta miliardi di euro: una decina di leggi di stabilità,
soldi buttati. Qui in Parlamento ci accapigliamo per qualche milione;
immaginate cosa potremmo fare anche solo con un quarto di quei 90 miliardi.
Ora, fermi restando gli indicatori virtuosi che ho detto e
che devono rimanere tali, è il tempo delle azioni sull’economia reale per i
lavoratori, per gli artigiani, gli imprenditori, i professionisti, i
commercianti, i ricercatori.
Parto dal dire che intanto sono operativi ora, in questo
mese, gli strumenti che sono stati messi a punto in questi mesi di Governo.
Chi vuole investire sui macchinari e sulle dotazioni
tecnologiche, grazie alla nuova «legge Sabatini» contenuta nel «decreto Fare»,
può farlo, abbattendo gli interessi sul finanziamento e con un’ampia garanzia
statale. Chi vuole assumere un giovane disoccupato, può farlo con
l’incentivazione straordinaria della decontribuzione totale. Già, quindi, un
primo segno su quella strada di riduzione delle tasse sul lavoro, che abbiamo
intrapreso poi nella legge di stabilità e che rafforzeremo ulteriormente. Chi
vuole dare un impiego a una persona di qualsiasi età, uscita dai cicli
produttivi, una persona in difficoltà, può farlo, beneficiando, dal momento
dell’assunzione, dell’ammortizzatore sociale residuo. Chi vuole ristrutturare,
con criteri ecocompatibili la propria abitazione, ora lo può fare con uno sconto
fiscale mai così alto e sulla casa voglio anche sottolineare i fondi messi a
sostegno della morosità incolpevole, a sostegno delle giovani coppie e dei
lavoratori precari.
Potrei continuare, ma so che bisogna fare molto di più,
partendo da una priorità ineludibile: il soccorso per quegli italiani che la
crisi ha esposto a livelli di vulnerabilità mai toccati; i disoccupati, le cui
famiglie scivolano verso la povertà; gli esodati, per i quali le risposte, pure
parzialmente arrivate, sono ancora incomplete, i giovani, frustrati nel non
trovare un impiego; gli anziani e i pensionati, per i quali le prime misure per
la non autosufficienza contenute nella legge di stabilità sono necessariamente
da rafforzare, le indicizzazioni delle pensioni da estendere; i disabili, per i
quali si è operata un’inversione di tendenza su alcune voci di spesa sociale
che verranno rafforzate l’anno prossimo.
Sempre l’anno prossimo, vogliamo e possiamo sperimentare
quei nuovi strumenti di sostegno per l’inclusione attiva contro la povertà
previsti nelle riforme di questi mesi. Dobbiamo far sì che funzionino bene e
siano estesi in modo strutturale dal 2015. Il tutto ovviamente con
un’attenzione particolare e selettiva al Mezzogiorno, dove i problemi di
esclusione, crescita della povertà, scoramento e rabbia esplodono se non si
danno risposte immediate e mirate.
Allo stesso modo, nel 2014, completeremo la riforma degli
ammortizzatori sociali: vanno disegnati meglio, vanno estesi a chi vive
l’estrema vulnerabilità personale e familiare generata dalla chiusura di tante
aziende, piccole e grandi. In un clima di dialogo sociale, si deve andare verso
un sistema che privilegi il lavoratore rispetto al solo posto di lavoro.
Nessuno deve restare indietro, nessuno deve avvertire il senso freddo della
solitudine rispetto alla comunità. Ed è proprio quella parola «comunità» che vi
chiedo di rilanciare con forza, il ruolo dei corpi intermedi,
dell’associazionismo, del volontariato, la forza economica e di competitività
delle donne che oggi non valorizziamo come dovremmo e, soprattutto, come
servirebbe. Per questo, dopo aver attivato, in questi mesi, le forme di
incentivazione previste dalle misure a favore dell’occupazione femminile, il
2014 sarà l’anno delle misure sulla conciliazione lavoro-famiglia, delle quali
stiamo già preparando i contenuti.
L’Italia è, quindi, e deve essere una comunità, non mi
stancherò mai di ripeterlo; l’Italia è capacità di impresa, innovazione,
dedizione, fierezza del lavoro. Siamo la quinta potenza manifatturiera del
mondo, la seconda in Europa. Tra le prime venti filiere industriali in Europa,
dieci sono tedesche e sei sono italiane. Abbiamo la seconda agricoltura europea
per valore aggiunto; il nostro export cresce, si rinnova e trova nuovi mercati;
siamo uno dei pochi grandi Paesi al mondo a presentare stabilmente un surplus
commerciale strutturale nel manifatturiero.
Stiamo quindi reagendo: non dobbiamo rinunciare ad usare i
nostri talenti e, in particolare, le tre risorse più importanti: il nostro
capitale umano, innanzitutto, cioè le persone, puntando sull’istruzione dei
giovani e sulla ricerca. In secondo luogo, la bellezza e la cultura, puntando
sul turismo, sull’ambiente, sulla grande occasione dell’expo, sulla vitalità e
la creatività. In terzo luogo, le imprese: è vero che abbiamo perso, in questo
ventennio, molta capacità industriale anche nei servizi, ma molta ce n’è ancora
e molta possiamo recuperarne.
Partiamo dalle ragazze e dai ragazzi. Il primo gennaio
prende avvio la garanzia per i giovani: il nuovo strumento che a giugno è stato
approvato, per l’Italia, è una grande sfida; ci sono le risorse, tutto è
pronto, adesso va attuato, dal primo gennaio.
Abbiamo riportato e vogliamo rimettere l’istruzione e la
ricerca in cima alle priorità, prima con il decreto «l’istruzione riparte» e,
nei prossimi mesi, con tre impegni concreti.
Anzitutto, un piano da attuare entro marzo, di interventi
per rilanciare l’università e la ricerca, mettendo al centro studenti e qualità
del sistema, potenziamento della valutazione, nuove regole per il finanziamento
degli atenei e la contribuzione studentesca, costo standard per studente,
diritto allo studio da rafforzare. In secondo luogo, una costituente della
scuola da concludere entro giugno, per adottare gli interventi con gli
obiettivi precisi: i ragazzi devono diplomarsi prima, con competenze migliori e
un orientamento più chiaro sulle future scelte professionali di formazione
superiore. Gli insegnanti devono avere opportunità di formazione adeguate e
regole di reclutamento e carriera stabili, basate su trasparenza e merito. Il
ciclo di istruzione deve iniziare per tutti con la scuola dell’infanzia, che è
un diritto dei bambini e uno strumento per favorire la conciliazione
famiglia-lavoro e le pari opportunità. E poi i giovani ricercatori. Dopo aver
portato il turnover al 50 per cento dobbiamo procedere su questa strada. La
burocrazia non può ingabbiare l’autonomia dei ricercatori, la loro vocazione
internazionale. Con questo spirito nel nostro semestre di presidenza europea
lavoreremo per promuovere la mobilità dei ricercatori e completare l’area
europea della ricerca.
Il secondo aspetto: la bellezza come grande risorsa
economica. Proseguiremo nell’azione avviata, confermando l’impegno a investire
sulla cultura. A gennaio, arriverà in Consiglio dei Ministri il decreto per
rilanciare il turismo. Sempre a gennaio, in linea con il «decreto valore
cultura» già varato, sarà lanciato il bando per il progetto annuale «Capitale
italiana della cultura» e il 27 maggio, l’anniversario della drammatica strage
dei georgofili, culminerà con la designazione della prima capitale italiana
della cultura per l’anno 2015. Strettamente legati a questi temi ci sono,
naturalmente, l’ambiente e la tutela del paesaggio. Dobbiamo scegliere la
strada della prevenzione, dell’efficienza, della lotta agli sprechi, della
sostenibilità. Dobbiamo aumentare gli investimenti contro il dissesto, a
partire da una migliore capacità di spesa dei fondi già disponibili. Allo
stesso tempo, dobbiamo semplificare le procedure per realizzare presto e bene
gli interventi come previsto nell’agenda verde, il collegato ambientale alla
legge di stabilità. Bisogna approvare il disegno di legge per il contenimento
del consumo del suolo, già presentato.
Le imprese sono il terzo punto. Mettiamo al centro della
nostra azione economica la competitività. Un fattore importante è la riduzione
del costo del lavoro. Abbiamo cominciato ad affrontarlo con la legge di
stabilità. Il Parlamento ci ha impegnato a impiegare nella ulteriore riduzione
del costo del lavoro i proventi della revisione della spesa e del ritorno dei capitali
dall’estero. Inseriremo questo automatismo nell’ultimo passaggio, nei prossimi
giorni, del disegno di legge di stabilità proprio qui alla Camera, dopo averlo
discusso con le parti sociali.
«Destinazione Italia», il piano per l’attrazione degli investimenti
e il rilancio della competitività, sarà invece venerdì in approvazione al
Consiglio dei Ministri. Vogliamo dare agli investitori e agli imprenditori
certezza delle procedure, certezza dei tempi, anche della giustizia, certezza
sul fisco, il tutto per abolire o semplificare procedure inutili e per
modernizzare l’intera pubblica amministrazione. All’interno del piano ci
saranno un credito di imposta per la ricerca e fondi per incentivare la
digitalizzazione delle piccole e medie imprese.
Ancora venerdì interverremo, con «destinazione Italia»,
anche su un altro dei fattori frenanti della competitività, ovvero l’alto costo
dell’energia. Una riduzione di 600 milioni di euro sulle bollette che si somma
a quella già prevista dal «decreto Fare». Per rilanciare la competitività del
nostro sistema c’è anche bisogno che lo Stato in alcuni campi sia in grado di
giocare bene il proprio ruolo, non certo alla vecchia maniera, ma con un uso
efficace e moderno dei nuovi strumenti in campo, con una riflessione a largo
spettro per evitare di perdere asset preziosi e per concentrare risorse su
operazioni di sistema e opportunità da non perdere, sia a casa sia sui mercati
europei ed esteri. Su questo mi aspetto importanti contributi dalla discussione
sul contratto di governo che ho già chiamato «Impegno 2014».
A completamente della legge di stabilità e di «destinazione
Italia» il Governo ha poi lanciato – ne abbiamo già parlato – un piano di
dismissioni. Il primo blocco, già presentato, vale tra i 10 e i 12 miliardi di euro,
che andranno in gran parte a riduzione del debito. Lo sappiamo: quello delle
dismissioni è un tema sensibile. Troppi sono stati gli errori del passato.
Voglio rassicurarvi: nessuno di noi si sogna di svendere per
fare cassa. Io credo profondamente nel ruolo dello Stato, ma credo anche che lo
Stato, per essere credibile e funzionante, non debba occuparsi di tutto.
L’arrivo di capitali privati può essere momento di svolta per iniettare risorse
fresche, rilanciare la produzione, garantire lo sviluppo delle aziende
coinvolte (il caso esempio di Fincantieri e di Sace che trarranno dalla
valorizzazione risorse fresche per il loro sviluppo). Il prossimo anno,
nell’ambito del secondo tempo di questo piano di dismissioni – e, ripeto,
stiamo parlando di dismissioni di quote, non di controllo – studieremo con
l’azienda e con i sindacati l’apertura del capitale di Poste e di altre
aziende, e la partecipazione dei lavoratori all’azionariato, permettendo loro
rappresentanza negli organi societari. È un’esperienza unica, un tentativo – ne
parleremo insieme, quella che voglio lanciare qui è una proposta –, è il
tentativo di sperimentare in Italia la Mitbestimmung tedesca, destinata a
influenzare in meglio le relazioni industriali, la partecipazione dei
lavoratori e il modello di impresa nel nostro Paese .
L’apertura dei mercati, le infrastrutture, la tutela dei
consumatori: a questo riguardo, occorre proseguire sulla strada di una maggiore
apertura, anche attraverso la presentazione presto dell’annuale legge sulla
concorrenza. Il cronoprogramma delle liberalizzazioni comincia comunque questo
mese, con l’entrata in attività dell’Autorità di regolazione dei trasporti, uno
dei settori chiave per la nostra economia: diventerà operativa il 19 dicembre
prossimo, un fatto che testimonia la serietà della nostra azione, garanzia del
sistema delle regole per gli investitori italiani e stranieri, tutela dei
diritti degli utenti e della qualità del servizio pubblico. Nel 2014
presenteremo il piano nazionale dei porti e degli aeroporti, che individui e
fissi le priorità del Paese. Oggi, queste strutture agiscono in concorrenza tra
loro senza programmazione né sinergia. È una grande operazione nazionale che
dobbiamo fare di politica industriale strategica. Sulle infrastrutture proseguiremo
nel finanziare opere e progetti immediatamente cantierabili o in corso di
ultimazione, una rimodulazione della spesa che consenta di avere miglioramenti
continui in tempi brevi a servizio di tutto il sistema produttivo. E ancora,
nel prossimo Consiglio dei ministri, in tema di tutela della concorrenza e
apertura dei mercati, partiremo dal settore assicurativo con un intervento in
grado di far scendere sensibilmente le tariffe dell’RC auto.
Per riportare la fiducia nei cittadini, onorevoli colleghi,
lo Stato deve fare la sua parte. Dico chiaramente come: in primo luogo, la
revisione della spesa. Il lavoro del commissario Cottarelli, che deve andare
avanti senza alibi, sarà l’occasione per procedere ad una opportuna
ridefinizione del perimetro dello Stato. In queste settimane, per quanto
riguarda la Presidenza del Consiglio, al termine di una ricognizione che è
partita ad agosto con il taglio degli aerei blu, la vendita di tre aerei blu,
la destinazione dei 50 milioni derivati dalla vendita avvenuta – l’avevo
annunciato ed è stato fatto – alla Protezione civile, che ha fatto affiorare
non poche criticità. Sta approvando oggi, tutto questo lavoro della Presidenza
del Consiglio sulla ricognizione degli sprechi e dei tagli possibili, direttive
necessarie per dare un metodo di lavoro orientato ai risultati, che estirpi
rendite di posizione e privilegi. Questi interventi riflettono le nuove linee
guida della Presidenza che faremo in modo siano condivise nell’impostazione e
nelle priorità da tutti gli altri Ministeri.
Vogliamo cambiare una amministrazione che perde e fa perdere
troppo tempo. Secondo Doing Business l’Italia è al centotrentottesimo posto al
mondo per le complicazioni fiscali. Per pagare le tasse le nostre imprese
impiegano 269 ore l’anno contro le 176 della media dei Paesi OCSE. Abbiamo
introdotto, nel «decreto Fare», un principio importante che adesso dobbiamo
attuare: l’amministrazione, il pubblico, deve pagare ogni ritardo che è colpa
propria. Dobbiamo continuare a rimuovere le cause dell’altissimo numero di
condanne dello Stato sulla ragionevole durata del processo, un costo per le
finanze pubbliche e l’emblema di una giustizia civile a un passo dal
fallimento. Le riforme fatte già stanno portando dei cambiamenti, vogliamo
continuare e andare in questa direzione.
Terzo punto: un Paese più semplice si ottiene solo con le
leggi ? No. Passa per i risultati e la valutazione delle politiche pubbliche.
Troppe semplificazioni slogan sono rimaste sulla carta. Per
questo nel 2014 entrerà in funzione un contatore della semplificazione per
verificare e valutare le performance della pubblica amministrazione. Il Governo
deve agire in modo trasparente, chiarire le politiche pubbliche che persegue,
rendere conto del loro stato di attuazione. Per questo, stiamo costruendo,
analogamente a quanto fatto nel Regno Unito, un sito unico del Governo, delle
agenzie e degli enti pubblici strumentali, in cui siano riportate, in modo
dettagliato, le politiche pubbliche con gli obiettivi e i risultati attesi, le
azioni adottate e gli adempimenti da assumere con la relativa tempistica. Tutti
i materiali dovranno essere open data. Più trasparenza significa responsabilità
sociale: vale per le imprese, deve valere per lo Stato.
Onorevoli colleghi, il Presidente della Repubblica ha rivolto
a settembre un appello sulla drammatica situazione carceraria. Su alcuni temi è
competente il Parlamento, che deciderà ovviamente in piena autonomia, ma su ciò
che è di competenza del Governo siamo pronti. Lo dissi in occasione del primo
voto di fiducia, voglio ripeterlo oggi: siamo la patria di Cesare Beccaria e
dobbiamo dimostrarlo.
Dobbiamo dimostrarlo anche nella lotta contro la corruzione
e contro le mafie. Quanti comuni sono stati sciolti negli ultimi anni per
infiltrazioni mafiose ? Quante economie criminali abbiamo visto prosperare
nella crisi, all’ombra delle frasi fatte «la mafia non esiste» o «la mafia
esiste solo al sud» ? Quanta illegalità c’è nel territorio deturpato nella
cementificazione selvaggia, che ci lascia disarmati davanti al disastro del
dissesto idrogeologico ? Quanto dobbiamo al coraggio ed all’abnegazione degli
uomini impegnati in prima fila contro le mafie, cui il Governo non farà mancare
un supporto doveroso nei prossimi anni ?
A questo proposito il decreto sulla Terra dei fuochi è stata
una risposta forte dopo anni di immobilismo. Abbiamo rafforzato gli strumenti
repressivi, interventi di caratterizzazione dei suoli che frenino il rischio di
compromettere l’agricoltura del territorio, risorse a sostegno delle attività
di bonifica.
Il lavoro della Commissione istituita dal Governo ha
prodotto poi molte altre proposte concrete per combattere la criminalità
organizzata, tra cui il contrasto patrimoniale ed una maggiore efficienza in
tema di beni confiscati. A gennaio approveremo in Consiglio dei ministri il
pacchetto di norme sulla legalità, frutto del rapporto della Commissione.
Onorevoli colleghi, oggi vorrei che tracciassimo una linea.
Di qua, chi ama l’Europa, ne riconosce le contraddizioni, vuole riformarla, non
delega ad altri la responsabilità di provare a farlo, sa che, senza l’Unione
europea, ripiombiamo nel Medioevo. Di là, chi vuole bloccare l’Europa, si
scaglia contro i suoi limiti per speculare sul malessere, sulla disoccupazione
e sul crollo dei consumi di questi cinque anni. La linea di separazione è la
più netta: nessuna sfumatura. Il mandato che oggi qui vi chiedo è per
costruire, insieme a chi si riconosce in questa parte, un’Europa migliore. Chi
vuole isolare l’Italia non voti la fiducia. Chi vuole conquistare consenso con
il populismo antieuropeo non voti la fiducia al mio Governo.
Colleghi, la caratteristica distintiva dei populisti è
inventare sempre un nemico contro il quale scaricare l’indignazione,
trasformarla in conflitto. Serve, alla fine, per nascondere la debolezza o
l’inconsistenza della propria proposta. Serve ad evitare di dover rispondere
con credibilità e serietà delle proprie azioni. Una politica forte della
propria identità e dei propri ideali dialoga, discute, combatte, rispetta.
L’Italia ha una solida, profonda e nobile identità europea.
Dobbiamo esserne fieri.
Per questo la discussione sull’Europa che vogliamo nei
prossimi anni deve, una volta ancora, passare dal protagonismo italiano: è un
nostro dovere. Affinché ciò avvenga, però, l’Italia deve essere credibile, se
no non ci ascolta nessuno in Europa. Deve essere unita sui grandi interessi del
Paese, deve dotarsi di un sistema politico e istituzionale comprensibile –
quanto tempo ho passato in questi sette mesi a spiegare le cose di casa nostra
fuori dai nostri confini e forse quanto poco successo ho avuto –, trasparente,
in grado di decidere. Affinché ciò avvenga, dunque, l’Italia deve avere i conti
in ordine, come oggi accade – e lo ricordiamo a tutti, anche ad alcuni
tecnocrati di Bruxelles –, fare le riforme, come nel 2014 deve accadere.
Per sei mesi da luglio saremo alla guida dell’Europa in una
delle epoche più tormentate della storia europea: un’Europa assediata ovunque
da forze populiste e xenofobe, un’Europa finora incapace di liberarsi delle sue
storture, per la quale, per la prima volta da molto tempo, nessuno è in grado
di prevedere una prospettiva da qui a un decennio.
Voglio fare qui insieme a voi un esercizio: proviamo a
vedere, in questa logica del decennio, com’era la situazione dieci, venti o
trent’anni fa e com’è oggi. Nel 1983, trent’anni fa, il traguardo c’era dopo
dieci anni: era quello del mercato unico, era quello delle quattro libertà,
dell’Europa di Jacques Delors del 1992. Fu realizzato, dieci anni dopo. Nel
1993, vent’anni fa, qual era l’obiettivo dei dieci anni ? Era il progetto
dell’unione economica e monetaria, che poi nel decennio successivo si è
realizzata. Nel 2003, dieci anni fa, qual era il progetto dieci anni dopo ? Era
quello dell’allargamento, della riunificazione delle due Europe, tanto che
oggi, nel 2013 – raccontiamolo sempre a tutti quelli che parlano male
dell’Europa – il semestre di Presidenza è guidato da un Paese che era,
venticinque anni fa, Unione Sovietica. Questo è il segno del successo dell’Unione
europea: tutti obiettivi fissati e costruiti con una visione a lungo termine.
E domani ? Qui sta il problema. Qual è oggi l’obietto per
l’Europa del 2023 ? La verità è che questo obiettivo non c’è e dobbiamo essere
molto onesti con noi stessi a dirlo. Nessuno è in grado di prevederlo, manca
nella koinè delle istituzioni comunitarie. E se manca il progetto cui legare le
singole riforme che di volta in volta vengono decise, l’Europa si ferma,
l’Europa può implodere sotto il peso del dramma sociale causato dalla grande
crisi. È con questo spirito che ci impegniamo a gestire il semestre e a vivere
il 2014 come l’anno dell’Europa. Niente di più miope e pericoloso che
considerarlo un appuntamento rituale e burocratico.
Dobbiamo giocare in attacco, anche qui, e convincere gli
altri delle nostre buone ragioni. Vuol dire non avere paura di chi lucra sulle
paure dei cittadini né di chi prova a conservare l’esistente per il proprio
interesse nazionale; vuol dire parlare alle opinioni pubbliche dei grandi Paesi
che fanno resistenza e ripetere, con credibilità e in ogni occasione, che senza
l’Europa non si salva nessuno, nemmeno i Paesi e il Paese più grande
dell’Unione europea.
Per questo vi propongo qui quattro obiettivi concreti. Il
primo: impegnarsi a realizzare subito, a partire dal Consiglio europeo del
19-20 dicembre, senza ritardi, una vera unione bancaria. So che non è un tema,
come si suol dire, accattivante – quello dell’unione bancaria –, so che non
scatena i cuori e non scatena passioni, ma se avessimo avuto l’unione bancaria
negli ultimi cinque anni non ci sarebbero state le crisi che hanno fatto
buttare via ai contribuenti e agli Stati europei decine e decine di miliardi.
Servirà per abbassare il costo del credito a imprese e famiglie; servirà ad
impedire nuove crisi del settore bancario; servirà anche a lavorare perché si
eviti quella instabilità sui mercati finanziari che tanti danni ci ha fatto e
che continua, se vedo il tasso di cambio dell’euro di stamattina.
Il secondo: lottare per dare alla zona euro una capacità
finanziaria che incentivi gli Stati membri a compiere l’ultimo miglio delle
riforme e li renda più resistenti agli shock economici. Se questo passo avanti
verso una vera solidarietà europea sarà compiuto, allora non avremmo timore di
considerare la creazione di intese contrattuali per le riforme strutturali e
lavoreremmo affinché esse si chiamino «contratti per la crescita», volontari e
collegati a incentivi finanziari.
Il terzo: spingere per un Governo più equilibrato
dell’unione economica e monetaria e per politiche più convincenti per la lotta
alla disoccupazione, specie giovanile, a partire dall’importante vertice
intergovernativo sul lavoro della prossima primavera, che dopo Berlino (3
luglio) e Parigi (11 novembre) si terrà proprio a Roma.
Il quarto: interpretare la nostra Presidenza – è questo il
punto più importante – come quella che chiude la legislatura 2009-2014, della
crisi e della sola austerità e che apre la legislatura 2014-2019, della
stabilità e della crescita in Europa e quindi anche in Italia.
Il nostro semestre di Presidenza deve essere l’occasione per
dare nuova energia ad un’Europa che oggi ha le batterie scariche. Vogliamo
ridisegnare una strategia economica per l’Europa che, dopo l’austerity, punti
su innovazione, spazio europeo della ricerca, tecnologie verdi, investimenti
nei settori e nelle competenze del futuro, politiche per il manifatturiero.
L’Europa esce dalla trappola della stagnazione solo se torna
a crescere. Vogliamo parlare dell’Europa che guarda al mondo dopo anni di
introversione. Il grande progetto deve essere quello dell’Europa unita; quello,
onorevoli colleghi, di cui, insieme alla Presidente Boldrini, ieri abbiamo
avvertito la drammatica mancanza, a Johannesburg, quando, nell’evento forse più
suggestivo di questo decennio, noi europei c’eravamo tutti, tutti, ma i
protagonisti sono stati altri. Oltre a Mandela e al suo Sudafrica, il mondo ha
ascoltato gli Stati Uniti, la Cina, l’India, il Brasile. E noi europei, divisi,
e perché divisi, siamo stati silenti e attori non protagonisti. Il messaggio di
ieri è sferzante: non abbiamo, noi europei, più tempo. Il mondo cambia e cambia
senza aspettarci.
Solo uniti possiamo contare davvero, solo uniti possiamo
gestire in modo più equilibrato il dramma, per esempio, dell’immigrazione
illegale. Solo uniti possiamo gestire il dramma delle vicende delle migrazioni.
Voglio qui spendere una parola, insieme a tutti voi, per
ringraziare i nostri militari, i nostri volontari (Applausi). Alle volte non ci
rendiamo conto di come noi operiamo sempre e soltanto con l’attenzione legata
al fatto che i temi esplodono sui grandi media e allora c’è grande attenzione.
Dopo la tragedia di Lampedusa, dopo la seconda tragedia che è avvenuta al largo
delle coste maltesi noi, l’Italia, grande Paese del Mediterraneo, il più grande
Paese del Mediterraneo, ha deciso che non poteva stare a guardare. Abbiamo
messo in campo «Mare nostrum», un’iniziativa militare umanitaria voluta dal
nostro Paese. In questi due mesi da allora quell’operazione militare ha evitato
che ai 350 e più migranti che drammaticamente sono morti a Lampedusa, se ne
aggiungessero altri – secondo le nostre stime – 2 mila: 2 mila persone che sono
state salvate mentre stavano per annegare in mare. Questa è l’Italia, al di là
di tutte le differenze.
Anche su questo possiamo e dobbiamo essere fattore di
stabilità nei confronti di un Mediterraneo sempre più instabile, nei confronti
dei Paesi del vicinato orientale. Possiamo essere un attore globale capace di
difendere e promuovere i suoi interessi e i suoi valori con politiche di
sicurezza e difesa, ma anche con un rilancio della cooperazione allo sviluppo,
la cui legge base, in Italia, riformeremo nel 2014.
Vogliamo parlare di un’Europa, quindi, che non è solo
mercato economico ma spazio dei diritti e delle persone, uno spazio in cui i
cittadini possano riconoscersi ed essere riconosciuti come protagonisti.
L’Europa di tutti, l’Europa vicina, l’Europa con un’anima,
non l’Europa fredda, che sta altrove, che sta solo a Bruxelles. Vogliamo,
insomma, un semestre che coniughi l’Europa al futuro, come sempre abbiamo fatto
nella storia del grande Paese fondatore che è l’Italia. L’Europa ha cambiato in
meglio l’Italia, oggi l’Italia deve contribuire a cambiare in meglio l’Europa.
Signora Presidente, onorevoli colleghi, concludo. Oggi più
che mai, dunque, l’Italia ha bisogno di competenza e di passione. Servono quei
valori e quelle sensazioni che ognuno di noi in qualche momento della sua vita
ha provato sentendosi davvero parte di una squadra. In mente un obiettivo
preciso. Serve la fatica, indispensabile sempre per riuscire in qualche cosa.
Servono giocatori che si fidino gli uni degli altri, servono poche parole,
buoni esempi. Abbiamo tutti avuto un insegnante, un maestro che ci esortava a
dare il meglio di noi per raggiungere obiettivi che sembravano irraggiungibili.
Forse ci siamo tirati indietro, abbiamo deciso di non provarci nemmeno. «In
fondo io sono fatto così, non ci riesco», è un alibi sempre a portata di mano
questo. Forse, invece, abbiamo trovato una squadra per cui valeva la pena di
provarci e ci siamo alle volte riusciti, perché la squadra è il luogo dove il
punto di forza dei gruppi supera il limite dell’individuo e dove il punto di
forza dell’individuo viene messo a disposizione del gruppo. No, oggi quell’«io
sono fatto così» non può più valere. Sono orgoglioso di essere qui per
convincervi che giocheremo all’attacco, perché gli italiani hanno diritto a
vedere ripagati i loro sacrifici. Ora che questo sta per succedere, non
permetteremo che l’Italia sprofondi di nuovo
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