Non copre di manto erboso richiesto dalla Provincia per evitare altri abbandoni: CONDANNATO PER CORRESPONSABILITA' (compartecipazione agevolatrice )



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 359 del 2001, proposto da:
Labadini Angelo, Ferrari Andreina Domenica, Dosio Domenico, Belli Miriam, Dosio Maria Teresa, Dosio Luigi, rappresentati e difesi dall'avv. Felice Besostri, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Piazza Giuseppe Grandi, 5
contro
Comune di Somaglia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Mauro Putignano, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Via Lentasio, 7;
Provincia di Lodi, non costituita in giudizio 


sul ricorso numero di registro generale 1697 del 2013, proposto da:
Labadini Angelo, Ferrari Andreina Domenica, Dosio Domenico, Belli Miriam, Dosio Maria Teresa, Dosio Luigi, rappresentati e difesi dagli avv.ti Felice Besostri e Roberta Bertolani, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Milano, Corso di Porta Vittoria, 47
contro
Comune di Somaglia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Mauro Putignano, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Via Lentasio, 7;
Provincia di Lodi, non costituita in giudizio
per l'annullamento
- quanto al ricorso n. 359 del 2001: del provvedimento emesso in data 10.1.2001 dal responsabile del servizio Ambiente del Comune di Somaglia, con cui è stata respinta la richiesta di proroga del termine di esecuzione previsto dall’ordinanza del Sindaco n. 16 del 16.5.2000;
- quanto al ricorso n. 1697 del 2013: del provvedimento del 7.11.2012 del responsabile dell’area tecnica del Comune, con cui è stata richiesta una documentata relazione sullo stato dell’intervento di rimozione dei rifiuti, sotto comminatoria di esecuzione d’ufficio.

Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Somaglia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2014 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Gli odierni ricorrenti hanno impugnato, chiedendone l’annullamento, il provvedimento, emesso in data 10.1.2001 dal responsabile del servizio ambiente del Comune di Somaglia, di reiezione della richiesta di proroga del termine di esecuzione previsto dall’ordinanza n. 16 del 16.5.2000, con cui il Sindaco aveva in precedenza ingiunto agli stessi ricorrenti – in qualità di comproprietari di un terreno sito in località Mulino Alberone – la rimozione e lo smaltimento, entro 30 giorni dalla notifica di tale ordinanza, dei rifiuti risultati interrati in esito al congiunto accertamento dell’ASL di Lodi e dell’ARPA Lombardia (le cui risultanze sono state trasmesse all'Amministrazione con nota del 14.4.2000).
Con il provvedimento impugnato si è, altresì, disposto che, in caso di ulteriore inerzia nei successivi 15 giorni, si sarebbe provveduto “a inoltrare alla competente autorità giudiziaria richiesta di sequestro dell’area e alla denuncia dei proprietari per violazione dell’art. 14 del D.lgs. 15.2.1997, n. 22”.
A fondamento dell’impugnazione sono stai dedotti i seguenti motivi:
1°) violazione dell’art. 14 del D.lgs. 22/1997; incompetenza;
2°) violazione e falsa applicazione dell’art. 14 del D.lgs. 22/1997, dei princìpi comunitari e della direttiva 91/156 del 18.3.1991; eccesso di potere per difetto di motivazione, ingiustizia manifesta, travisamento dei fatti, mancanza dei presupposti, difetto d’istruttoria.
Si è costituito in giudizio, con memoria formale, il Comune di Somaglia (14.9.2011).
Successivamente alla perenzione del giudizio, disposta con decreto presidenziale n. 1727 del 25.6.2012, i ricorrenti hanno depositato, in data 8.1.2013, una dichiarazione di persistenza dell’interesse alla decisione del ricorso, e pertanto, con decreto presidenziale n. 80 del 21.1.2013, è stata disposta la revoca della perenzione e la reiscrizione a ruolo del ricorso, nel contempo fissandosi, per la trattazione del merito, l’udienza pubblica del 29.5.2013.
In vista di tale udienza le parti hanno depositato le rispettive memorie conclusive.
In particolare:
- nella memoria del 26.4.2013 il Comune di Somaglia ha eccepito l’inammissibilità del ricorso sull’assunto che non sarebbe stata impugnata l’ordinanza del Sindaco n. 16/2000, da ciò dovendosi concludere che i ricorrenti avrebbero “mostrato di voler dare incondizionata esecuzione alla stessa, limitandosi a chiedere la concessione di un termine più ampio per l’esecuzione dei lavori” (cfr. pag. 2); nel merito l’Amministrazione ha opposto la legittimità del proprio operato, non avendo ricevuto dai ricorrenti alcun risconto alla richiesta di “presentazione delle note dalle quali risultano i dinieghi al ricevimento del materiale da parte degli impianti di smaltimento contattati” (cfr. pag. 3);
- nella memoria dell’8.3.2013 i ricorrenti hanno premesso di aver impugnato, con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (proposto in data 7.3.2013), il sopravvenuto provvedimento del 7.11.2012, con cui il Comune li aveva nuovamente sollecitati ad attivarsi per la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti in questione, sotto comminatoria di esecuzione d’ufficio di tali operazioni; in vista della trasposizione in sede giurisdizionale di tale ricorso hanno, quindi, chiesto un rinvio dell’udienza pubblica, già fissata per il 29.5.2013, tuttavia deducendo che il provvedimento successivamente impugnato avrebbe “surrettiziamente fatto rivivere l’ordinanza n. 16/2000, che, stante il tempo trascorso, doveva ormai intendersi priva di efficacia” (cfr. pag. 1); hanno, inoltre, asserito che “sull’area non sono presenti materiali inquinanti ma solo materiale di riporto e macerie le quali (…) hanno più che verosimilmente subìto un processo di demineralizzazione tale per cui l’ordine impartito non ha più ragione d’essere”, e che l’adozione di un nuovo provvedimento “avrebbe imposto una nuova attività istruttoria” (cfr. pag. 2).
Con atto di opposizione ai sensi dell’art. 10 del DPR 1199/1971, notificato in data 13.5.2013, il Comune ha chiesto la trasposizione innanzi a questo Tribunale del ricorso straordinario, di cui più sopra si è detto, e pertanto l’udienza pubblica già fissata è stata rinviata, su congiunta richiesta delle parti, al 6.11.2013.
Si sono costituiti in giudizio i ricorrenti (9.7.2013), i quali, avverso il provvedimento emesso in data 7.11.2012, hanno dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 54 del D.lgs. 267/2000; l’eccesso di potere per mancanza dei presupposti di diritto e per difetto di motivazione e d’istruttoria, nonché la violazione degli artt. 14 del D.lgs. 22/1997 e 192 del D.lgs. 152/2006.
Si è, altresì, costituita in giudizio l’Amministrazione comunale (10.7.2013).
Con decreto presidenziale n. 1541 del 3.10.2013 è stata disposta, in accoglimento dell’istanza proposta dai ricorrenti in data 30.9.2013, la riunione dei giudizi per ragioni di connessione soggettiva e oggettiva, ma anche in considerazione del fatto che il giudizio R.G. 1697/2013 era stato assegnato alla IV Sezione, presso la quale, inoltre, non era stata ancora fissata l’udienza pubblica per la discussione nel merito.
Conseguentemente, all’udienza del 6.11.2013 le riunite controversie sono state rinviate al 14.2.2014, in vista della quale le parti hanno depositato le rispettive memorie conclusive.
In particolare:
- nella memoria dell’11.1.2014 il Comune di Somaglia ha eccepito l’inammissibilità anche del ricorso successivamente proposto, in quanto “la nota impugnata è palesemente priva di contenuto provvedimentale e di autonoma lesività dell’interesse dei ricorrenti; essa infatti consiste in un mero atto interlocutorio, un formale invito al destinatario – già tenuto in base a un precedente titolo a osservare un determinato obbligo – a comunicare all’Amministrazione procedente notizie in merito al grado di esecuzione dell’obbligo stesso,o comunque a una data situazione di fatto, con assegnazione di un ragionevole termine per riscontrare l’invito” (cfr. pag. 2); ha, inoltre, opposto l’infondatezza della tesi dei ricorrenti secondo cui l’ordinanza n. 16/2000, “configurando un atto contingibile e urgente”, sarebbe “divenuta inefficace per mero decorso del tempo”, a tal riguardo sostenendo che l’ingiunta rimozione non sarebbe stata adottata “ai sensi dell’art. 54 del D.lgs. 267/2000”, quanto, piuttosto in applicazione dell’art. 14 del D.lgs. 22/1997, norma “che delinea una fattispecie tipica e autonoma, diversa dalla emanazione di ordinanze contingibili e urgenti” (cfr. pag. 4); infine, l’Amministrazione ha replicato che “come emerge dalla relazione congiunta ARPA-ASL della Provincia di Lodi del 14 aprile 2000 (redatta a seguito di convocazione e sopralluogo con i proprietari), l’abbandono e interramento dei rifiuti attiene (…) a una sistematica, ricorrente e prolungata nel tempo opera di (abusivo) riempimento di un terreno, con elevamento del piano campagna fino a 3-4 metri rispetto all’originario stato dei luoghi” (cfr. pag. 5), il che porrebbe in evidenza la responsabilità dei ricorrenti per omessa vigilanza;
- nella memoria del 22.1.2014 questi ultimi hanno dedotto di non aver mai prestato acquiescenza all’ordinanza n. 16/2000, censurando, in particolare, “l’applicazione di una misura sanzionatoria – il sequestro dell’area – ben più gravosa dell’ordine di smaltimento e non prevista dall’ordinamento giuridico” (cfr. pag. 2); che, inoltre, “il terreno in questione è isolato, al confine con il Comune di Casalpusterlengo ed è raggiungibile attraverso una strada sterrata” e che “all’estremità opposta (…) è delimitato da un corso d’acqua”, sicché “chiunque (…) avrebbe potuto introdursi per abbandonarvi dei rifiuti tanto più ove si consideri che nelle vicinanze si trova una strada statale a elevata concentrazione di traffico” (cfr. pagg. 3 – 4); hanno, poi, soggiunto che “il Comune non ha posto in essere alcun accertamento istruttorio al fine di accertare che sull’area fossero presenti o meglio continuassero a essere presenti rifiuti e in merito alla natura degli stessi, nel caso in cui fossero effettivamente presenti”; che “sin dal 2001 era da escludersi la sussistenza di una situazione di pericolo posto che come risulta dalle indagini a suo tempo condotte, come rilevato nella nota del 14.4.2000, non si ravvisava alcuna situazione di pericolo e/o i presupposti del sequestro” (cfr. pagg. 5 – 6).
All’udienza del 14 febbraio 2014 le riunite controversie sono state trattenute in decisione.
DIRITTO
In via preliminare, il Collegio ritiene infondata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso proposto avverso il provvedimento di diniego di proroga dell’esecuzione dell’ordinanza n. 16/2000, oggetto del giudizio R.G. 359/2001.
Infatti, la circostanza che i ricorrenti non abbiano impugnato l’ordinanza, sopra citata, non è sufficiente a provare una condotta acquiescente, essendosi piuttosto concentrate, le censure da questi proposte, sull’effettiva attitudine del provvedimento a essere eseguito.
Il controverso profilo dell’eseguibilità, affine, ma non coincidente con l’esecutività (che, com’è noto, riguarda l’idoneità di un provvedimento a incidere sulla sfera giuridica altrui in senso costitutivo, modificativo o estintivo della sottostante situazione giuridica soggettiva), trova, infatti, fondamento nella disposizione di cui all’art. 21 quater, comma 2 della legge 241/1990, in cui si dispone che “l’efficacia ovvero l’esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell’atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze”.
Ancorché ammissibile, il ricorso è, tuttavia, infondato nel merito e va respinto.
Quanto alla dedotta incompetenza del responsabile del servizio Ambiente, oggetto del primo motivo, occorre considerare che:
1) secondo un primo orientamento, l’abrogato art. 14, comma 3 del D.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (tuttavia applicabile, ratione temporis, alla fattispecie), sebbene attribuisse al Sindaco il potere di ordinare la rimozione dei rifiuti abbandonati, sarebbe stato, comunque, da interpretare alla luce del principio di separazione tra le funzioni di indirizzo politico e quelle gestionali, con conseguente attribuzione ai dirigenti della competenza a emettere i provvedimenti di ingiunzione alla rimozione dei rifiuti abbandonati (cfr. TAR Sardegna 4 novembre 2009, n. 1598; TAR Campania - Napoli, 9 giugno 2009, n. 3159);
2) l’art. 192, comma 3 del D.lgs. 152/2006 (norma che riproduce la disposizione di cui al citato art. 14 del c.d. decreto “Ronchi”) prevede che “il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni [ di rimozione, avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti e ripristino dello stato dei luoghi ] ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate”: il che, appunto, si è verificato nel caso di specie mediate l’emissione, da parte del Sindaco di Somaglia, dell’ordinanza n. 16 del 16.5.2000, laddove il responsabile del servizio si è limitato, in coerenza con i propri compiti di gestione amministrativa, a denegare la concessione di “una ulteriore proroga”, motivatamente opponendosi a una procrastinazione indefinita delle operazioni oggetto dell’ingiunzione sopra citata;
3) l’impugnato diniego di proroga non evidenzia né sottende alcuna valutazione sostitutiva del citato responsabile alle prerogative provvedimentali del Sindaco di Somaglia.
Parimenti infondato è il secondo motivo, con cui i ricorrenti hanno dedotto che “non può essere attribuita alcuna responsabilità per comportamenti colpevoli altrui”, soggiungendo che avrebbero “provveduto a collocare una sbarra all’ingresso della strada sterrata per impedire, tra l’altro, che vi fosse un accesso che consentisse lo scarico di rifiuti” (cfr. pag. 7).
Sulla corretta applicazione dell’art. 14 del D.lgs. 22/1997, il Collegio condivide, infatti, l’orientamento, favorevole a una valutazione sostantiva dei fatti di causa, secondo cui “sono illegittimi gli ordini di smaltimento di rifiuti abbandonati in un fondo che siano indiscriminatamente rivolti al proprietario del fondo stesso in ragione della sua sola qualità, ma in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell'Amministrazione procedente, sulla base di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione (quand'anche fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d'esperienza), dell'imputabilità soggettiva della condotta. Tale principio si applica anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 192 del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, dal momento che tale articolo, non soltanto riproduce il tenore dell'abrogato art. 14 sopra citato, con riferimento alla necessaria imputabilità a titolo di dolo o colpa, ma in più integra il precedente precetto, precisando che l'ordine di rimozione può essere adottato esclusivamente "in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo"” (Consiglio di Stato, sez. V, 19 marzo 2009, n. 1612).
Ciò premesso, dall’esame della nota congiunta dell’ASL di Lodi e dell’ARPA Lombardia del 14.4.2000 risulta incontestato, ai sensi dell’art. 64, comma 4 del codice del processo amministrativo:
a) che “in data 31.1.2000, dopo un primo sopralluogo e dopo che il Comune di Somaglia aveva identificato e convocato i proprietari attuali dell’area”, eseguendo dei sondaggi mediante un escavatore, è risultata la presenza di rifiuti indifferenziati (sacchi di plastica, materiale edile, inerti da demolizione, vetro, lattine, porfido, legname, nonché “materiale biancastro di consistenza plastica”), che, in base ai referti delle disposte analisi dell’ufficio igiene dell’ASL, hanno evidenziato “una elevata concentrazione di alluminio, ferro e solfati”:
b) che tale situazione di abusivo abbandono era risalente (“probabilmente anteriore al 1987”);
c) che “la Provincia di Milano (relazione del 5/5/89) aveva concesso che gli inerti fossero lasciati in posto, dopo spianamento, con copertura con terreno vegetale, visto che si trattava principalmente di riporto di macerie da demolizione e non si riscontrava presenza rilevante di sostanze inquinanti nel campione di terriccio analizzato”;
d) che in conseguenza di “alcuni micro carotaggi (…) eseguiti nel 1996 nella parte centrale dell’area” dalla Provincia di Milano era risultato che “l’accumulo di materiale (terreno di risulta di lavori edili e stradali) era presente per uno spessore di 4 m dal piano di campagna”.
Ne deriva che i ricorrenti, dal 1987 al 2000, periodo nel corso del quale sono stati effettuati ben tre accertamenti (due da parte dell’Amministrazione provinciale e uno, congiunto, tra l’ASL di Lodi e l’ARPA), sono rimasti volontariamente inerti, perfino esimendosi dal collocare la “copertura con terreno vegetale”, disposta dalla Provincia nel 1989, in un momento in cui, peraltro, la situazione di degrado ambientale non risultava ancora così gravemente compromessa, come, al contrario, è risultato dai referti del 3.4.2000 del laboratorio dei servizi di igiene pubblica e ambientale (P.M.I.P.) di Milano.
Perciò, può ritenersi senz’altro provata la “culpa in vigilando” dei ricorrenti, i quali hanno in maniera negligente omesso di predisporre le opportune misure per impedire l’ingresso di soggetti intenzionati ad abbandonare rifiuti nell’area controversa, né hanno posto in essere gli adempimenti che, sin dal 1989, erano stati ritenuti necessari per limitare il progressivo degrado ambientale.
Peraltro, si trattava di cautele rispondenti a un criterio di ragionevole esigibilità, espressione di un elementare obbligo di diligenza, e, per di più, proporzionato e compatibile con l’interesse dominicale, cui i ricorrenti hanno, invece, fatto cenno soltanto a proposito della mancata “vocazione edificatoria” impressa all’area dal piano regolatore del 1990 (cfr. pag. 7).
Né tale diligenza può ritenersi sussistente in ragione dell’asserito posizionamento di una “sbarra all’ingresso della strada sterrata”, che il Collegio, mediante una semplice consultazione delle immagini, a tutti accessibili, acquisite da google earth nel novembre 2011 (quindi, addirittura un anno prima del provvedimento emesso dal Comune in data 7.11.2012), pare del tutto inadeguata se non proprio inesistente, a ciò dovendosi aggiungere che manca qualsiasi struttura di delimitazione del confine di proprietà rispetto alla strada, a conferma della possibilità, per qualunque malintenzionato, di accedere molto facilmente al fondo in questione.
In altri termini, emerge una corresponsabilità in solido dei proprietari dell’immobile con gli ignoti autori dell’illecito abbandono dei rifiuti, da inquadrare in una compartecipazione agevolatrice (cfr. Cassazione penale, sez. III, 15 marzo 2005, n. 21996), presupposto dell’elemento psicologico della colpa di cui all’art. 14, comma 3 del D.lgs. 22/1997.
Le censure così disattese del primo giudizio sono state, parzialmente, rielaborate dai ricorrenti nell’unico motivo oggetto della seconda impugnazione, proposta avverso la comunicazione con cui l’Amministrazione ha chiesto ai ricorrenti di “produrre, entro 60 (sessanta) giorni dal ricevimento della presente, documentata relazione sullo stato dell’intervento, con l’espresso avvertimento che, in difetto, si provvederà d’ufficio adottando gli opportuni provvedimenti, con addebito delle relative spese”.
Si tratta di una determinazione che l’Amministrazione comunale, indubbiamente, avrebbe dovuto assumere con maggiore tempestività rispetto ai riferiti eventi, nella quale, ad ogni modo, è stata preannunciata l’esecuzione d’ufficio delle operazioni di rimozione e smaltimento in caso di ulteriore inerzia dei comproprietari, che quindi sostanzia, nei confronti di questi ultimi, un effetto lesivo tale da giustificare l’interesse all’impugnazione.
Il che determina l’infondatezza dell’eccezione d’inammissibilità del ricorso, opposta dal Comune nella memoria dell’11.1.2014.
I ricorrenti, in particolare, hanno sostenuto che il provvedimento impugnato difetterebbe della preventiva verifica “in ordine alla perdurante sussistenza dei presupposti dell’ordine impartito”, e intenderebbe “ripristinare, in maniera illegittima”, l’efficacia dell’ordinanza n. 16/2000, la quale, però, “stante il suo carattere della urgenza e della contingibilità, deve, oggi, a distanza di tredici anni considerarsi priva di efficacia alcuna” (cfr. pagg. 5 - 6).
Gli stessi hanno, quindi, concluso che “il fatto che gli inerti potessero essere lasciati sul posto, significa dunque che non sussistevano i presupposti per ordinare la rimozione degli stessi e quindi per l’esercizio dei poteri allora previsti dall’art. 14 del D.lgs. 22/1997” (cfr. pag. 8).
Si tratta, ad avviso del Collegio, di censure altrettanto prive di fondamento.
Quanto alla qualificazione dell’ordinanza del 16.5.2000, è chiaramente richiamato, nel preambolo di tale provvedimento, l’art. 14 della normativa sopra citata, mentre, di contro, non c’è alcun richiamo ai nominati presupposti per l’emissione delle ordinanze contingibili e urgenti, specificamente richiesti dall’art. 38 della legge 142/1990 (disciplina applicabile, ratione temporis, non essendo, a quella data, ancora entrato in vigore il D.lgs. 267/2000).
Con riguardo, poi, alla presunta inefficacia dell’ordinanza in questione, occorre rilevare che l’illecito suscettibile di provocare un danno ambientale ha carattere permanente, poiché consiste nella creazione di una situazione di per sé capace di produrre successivamente alla sua emanazione un ulteriore nocumento all’interesse tutelato.
Ne deriva che il provvedimento indirettamente censurato – che, peraltro, come sopra si è detto, i ricorrenti non hanno impugnato – continua, a tutt’oggi, a produrre effetti, perseguendo il fine di eliminare l’attuale stato di pericolo nella zona interessata e prevenire ulteriori danni per l’ambiente.
Infine, con riferimento alla (presunta) assenza di nocività dei rifiuti, nonché all’assunto secondo cui questi non sarebbero più presenti sull’area (o, addirittura, sarebbero stati eliminati a seguito di “un processo di demineralizzazione”, cfr. pag. 2 della memoria dell’8.3.2013), si tratta di argomenti privi del minimo riscontro probatorio, soprattutto in raffronto alla sostanza degli accertamenti effettuati dalle competenti autorità, più sopra citati, dai quali, invece, si evince una tendenza peggiorativa della situazione.
In conclusione, i riuniti ricorsi vanno respinti.
Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono quantificate – facendo applicazione dei parametri previsti dal D.M. 20 luglio 2012, n. 140, del principio di determinazione omnicomprensiva elaborato dalla giurisprudenza (cfr. Corte di Cassazione, sezioni unite, 12 ottobre 2012, n. 17405) e di una riduzione giustificata dalla condotta del Comune di Somaglia – in €. 7.500,00, oltre accessori, che i ricorrenti, in solido tra loro, dovranno corrispondere all’Amministrazione.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I)
definitivamente pronunciando sui riuniti ricorsi, come in epigrafe proposto, li respinge.
Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali, che liquida in €. 7.500,00, oltre accessori, in favore del Comune di Somaglia.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 12 febbraio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Mariuzzo, Presidente
Dario Simeoli, Primo Referendario
Angelo Fanizza, Referendario, Estensore




 
 
L'ESTENSOREIL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/02/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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